Gli altri clienti occidentali nell’internet point di Varanasi si irrigidiscono, ci scambiamo occhiate perplesse e allora no, non è stata un’impressione solo mia.
Un topolino, in un lampo, mi è proprio passato vicino e l’istinto di sollevare di scatto i piedi da terra ha avuto la meglio sulla nonchalance da viaggiatrice navigata con cui cerco (maldestramente) di mascherare lo stupore costante che vivo in India, dove il confine tra quello che vedi e ci credi, quello che vedi ma fai fatica a crederci e quello che vedi ed è totalmente incredibile, beh è impalpabile, fai confusione.
Quel negozio minuscolo, con tastiere appiccicose e annessa rivendita di bibite e anacardi, brulica, innegabilmente, di topolini.
“Ganesha”, commenta serafica la proprietaria, che lì con marito, tre figli, i pc, le bibite, i sacchetti di anacardi e i topolini, ci vive, puntualizzando quanto sia assurdo il disgusto che una cosa normale come il passaggio del roditore ha evidentemente innescato in noi.
In effetti, la signora ha ragione: Ganesha, il dio con la testa di elefante che rimuove gli ostacoli e benedice ogni inizio (che si tratti di gettare le fondamenta di un edificio, di un viaggio o di un rituale religioso), viene rappresentato sul dorso di un topolino.
Mi vergogno un po' del mio scatto nervoso, da figlia dell'occidente, che magari l'ha offesa o, peggio ancora!, potrebbe aver offeso Ganesha, ma ogni volta che apparirà un topo, lì o ovunque, so che avrò un riflesso analogo e dunque mi metto in pace.
Anche fuori dall’unica chiesa cattolica che mi è capitato di incrociare nel mio vagare per l’India c’era un microtempio dedicato a Ganesha, in cui i fedeli accendevano incensi prima di entrare e pregare davanti al crocefisso: la benedizione del dio-elefante va chiesta all'inizio, è l'incipit di qualsiasi cosa – compreso il rituale di una religione lontana dall’induismo.
Non fa una grinza.
Un topolino, in un lampo, mi è proprio passato vicino e l’istinto di sollevare di scatto i piedi da terra ha avuto la meglio sulla nonchalance da viaggiatrice navigata con cui cerco (maldestramente) di mascherare lo stupore costante che vivo in India, dove il confine tra quello che vedi e ci credi, quello che vedi ma fai fatica a crederci e quello che vedi ed è totalmente incredibile, beh è impalpabile, fai confusione.
Quel negozio minuscolo, con tastiere appiccicose e annessa rivendita di bibite e anacardi, brulica, innegabilmente, di topolini.
“Ganesha”, commenta serafica la proprietaria, che lì con marito, tre figli, i pc, le bibite, i sacchetti di anacardi e i topolini, ci vive, puntualizzando quanto sia assurdo il disgusto che una cosa normale come il passaggio del roditore ha evidentemente innescato in noi.
In effetti, la signora ha ragione: Ganesha, il dio con la testa di elefante che rimuove gli ostacoli e benedice ogni inizio (che si tratti di gettare le fondamenta di un edificio, di un viaggio o di un rituale religioso), viene rappresentato sul dorso di un topolino.
Mi vergogno un po' del mio scatto nervoso, da figlia dell'occidente, che magari l'ha offesa o, peggio ancora!, potrebbe aver offeso Ganesha, ma ogni volta che apparirà un topo, lì o ovunque, so che avrò un riflesso analogo e dunque mi metto in pace.
Anche fuori dall’unica chiesa cattolica che mi è capitato di incrociare nel mio vagare per l’India c’era un microtempio dedicato a Ganesha, in cui i fedeli accendevano incensi prima di entrare e pregare davanti al crocefisso: la benedizione del dio-elefante va chiesta all'inizio, è l'incipit di qualsiasi cosa – compreso il rituale di una religione lontana dall’induismo.
Non fa una grinza.